À dater de ce moment et jusqu’à la fin de la campagne, Koutouzow
employa tous les moyens en son pouvoir pour empêcher, soit par autorité,
soit par ruse, soit même par les prières, ses troupes de prendre
l’offensive et de s’épuiser en rencontres stériles avec un ennemi dont
la perte était désormais assurée. En vain Dokhtourow marche sur
Malo-Yaroslavetz, Koutouzow retarde autant que possible sa retraite,
ordonne l’évacuation complète de la ville de Kalouga et se replie de
partout, tandis que l’ennemi fuit en sens inverse.
Les historiens de Napoléon, en nous décrivant ses habiles manœuvres à
Taroutino et à Malo-Yaroslavetz, font toutes sortes de suppositions sur
ce qui serait arrivé s’il avait pénétré dans les riches gouvernements
du Midi. Ils oublient que non seulement rien n’a empêché Napoléon de se
diriger de ce côté, mais que, par cette manœuvre, il n’aurait pas
davantage sauvé son armée, qui portait en elle les éléments infaillibles
de sa perte. Ces germes latents de dissolution ne lui eussent plus
permis de réparer ses forces dans le gouvernement de Kalouga, dont la
population était animée des mêmes sentiments que celle de Moscou, que
dans cette dernière ville, où il n’avait pu se maintenir, malgré
l’abondance des vivres, que ses soldats foulaient aux pieds. Les hommes
de cette armée débandée s’enfuyaient avec leurs chefs, tous poussés par
le seul désir de sortir au plus vite de cette situation sans issue, dont
ils se rendaient confusément compte.
Aussi, au conseil tenu pour la forme par Napoléon à Malo-Yaroslavetz,
le général Mouton, en conseillant de partir en toute hâte, ne
trouva-t-il pas un seul contradicteur, et personne, pas même Napoléon,
ne chercha à combattre cette opinion. Cependant, s’ils comprenaient tous
l’impérieuse nécessité de battre au plus tôt en retraite pour vaincre
un certain sentiment de respect humain, il fallait encore qu’une
certaine pression extérieure rendît ce mouvement absolument
indiscutable. Cette
pression ne se fit pas longtemps attendre. Le lendemain même de la
réunion, Napoléon étant allé de grand matin, avec plusieurs maréchaux et
son escorte habituelle, inspecter ses troupes, fut entouré par des
cosaques en maraude, et ne fut sauvé que grâce à ce même amour du butin
qui avait déjà perdu les Français à Moscou. Les cosaques, entraînés par
le besoin du pillage comme à Taroutino, ne firent aucune attention à
Napoléon, qui eut le temps de leur échapper. Lorsque la nouvelle se
répandit que « les enfants du Don » auraient pu faire prisonnier
l’Empereur au milieu de son armée, il devint évident qu’il ne restait
plus qu’à reprendre la route la plus voisine et la plus connue.
Napoléon, qui avait perdu de sa hardiesse et de sa vigueur, comprit la
portée de cet incident, se rangea à l’avis de Mouton et ordonna la
retraite. Son acquiescement et la marche de ses troupes en arrière ne
prouvent en aucune façon qu’il ait ordonné de lui-même ce mouvement : il
subissait l’influence des forces occultes qui agissaient dans ce sens
sur toute l’armée.
(...morale della favola: bisogna fare attenzione, chi non fa non sbaglia, e chi legge i giornalisti sbaglia. E se questo non lo sapete voi... non so proprio chi dovrebbe saperlo qui in Italia!...)
(...ah, io ho meno energia di Kutuzov: di non spossarvi in scaramucce sterili posso dirvelo una volta sola: questa. Poi fate come vi pare, ma tenetemene fuori...)
(...altra cosa interessante: il post precedente ha avuto antamila visualizzazioni, nonostante - o grazie a - l'argomento sgradevole, ma nessun commento. Non che ce ne fossero molti da fare. Il cristiano, nonché democratico, amico, che nel frattempo ha ritrattato in varie sedi - votare serve! - si commentava da sé. Era autocommentante come l'armata napoleonica autosconfiggente, in qualche modo. Tuttavia che nessuno di voi abbia avuto il desiderio di portargli un fiore mi sembra un po' strano. Ho ricevuto notizie di "malfunzionamenti" di Blogger. Ne sapete niente?...)
(...un abbraccio a chi per lavoro deve fingere di aver capito...)
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
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mercoledì 30 maggio 2018
martedì 29 maggio 2018
Öttinger
Vi ricordate del nostro amico Gunther?
Ne avevamo parlato nel post precedente: è quello che, giocando in squadra con il suo amico Martin, era riuscito a scalzare dalla Commissione Budget la commissaria bulgara (Kristalina Georgieva), non sia mai un non tedesco si fosse trovato a maneggiare i fondi per la programmazione europea 2021-2027! La Bulgaria è stato di frontiera, e magari avrebbe posto qualche resistenza alla filosofia immigrazionista che l'altro nostro amico, Wolfgang (Schäuble) aveva imposto, nell'esclusivo interesse della Germania, paese in perenne crisi demografica. Quindi, non sia mai la Kristalina avesse anche pensato non dico a qualche respingimento, ma a un minimo di regole, ecco che il problema è risolto: la si manda alla Banca Mondiale, e al suo posto arriva Gunther, casualmente dello stesso partito della Merkel.
Ah, Gunther! Una pasta d'uomo, e soprattutto, come ci si aspetta da un Cristiano (e Democratico), un uomo di fede. Gunther crede. Crede nel mercato. Crede che i problemi che non riesce a risolvere lui, li risolva il mercato. Lui è riuscito a risolvere il problema di mettere il budget UE pressoché interamente in mano tedesca. Il mercato, secondo lui, risolverà il problema di far votare "bene" (per lui) gli italiani (cioè noi):
Voi mi direte che pensare una cosa simile non è un grande segno di umanità, o almeno di solidarietà europea, ma poi addirittura dirla non è un gran segno di intelligenza! Sono d'accordo con voi, ma che ci volete fare? Io vi ho sempre detto qual è il difetto dei tedeschi, popolo che personalmente ammiro per quanto ha di buono: qualsiasi altro popolo combatte fino alla vittoria, loro combattono fino alla sconfitta.
Amen.
Con questa uscita del nostro amico Gunther (tweet soppresso), e con il comportamento del nostro Presidente della Repubblica, credo che sia definitivamente risolto il problema di far capire, a chi ancora non l'avesse capito, cosa volessi dire nel lontano 2012, quando vi mettevo in guardia con queste parole:
"Deliberata ed esplicita e rivendicata soppressione del dibattito democratico...".
Lo so.
Molti di voi, leggendo queste parole sei anni fa, avranno detto: "Bè, sì, è bravino, certo, è eloquente, senza dubbio, l'euro non funziona, chi lo nega, però in fondo lui esagera...".
E ora vi sorprendete (voi, io no...) nel trovarvi con un governo rifiutato per delitto di opinione (quello sorprendentemente imputato a Paolo Savona), nonostante fosse espressione di giorni e giorni di lavoro di una maggioranza della cui faticosa costruzione, in tempi normali, il Presidente della Repubblica avrebbe potuto giustamente rivendicare il merito.
Ma questo non basta!
Vi trovate anche con un premier uscito fuori dal cilindro (ma in realtà preparato scientificamente a tavolino da mesi, con una ben precisa strategia mediatica che solo agli ingenui poteva sfuggire), il quale, lellero lellero, andrà a farsi votare la fiducia da nessuno. Ma non fa niente: lui è stato scelto perché rassicuri i mercati, o almeno questo è quello che ci dicono, quando in realtà è già assolutamente chiaro dove si voglia andare a parare: avere un docile esecutore che, una volta aizzati i mercati (grazie anche alle parole del buon Gunther o di qualche altro simpatico buontempone della CDU infiltrato o meno a Bruxelles), con la solita scusa dell'emergenza nazionale (FATE PRESTO!), magari chieda un prestito alla troika, e metta il paese sotto commissariamento, o almeno faccia qualche bel decreto "salva Italia" aggredendo il nostro patrimonio immobiliare (perché tanto è lì che vogliono andare a parare, e lo sappiamo bene).
Tutto questo perché l'Italia fa parte di quel club di scriteriati che hanno deciso di non essere liquidi nella propria moneta: situazione quest'ultima che ovviamente, come ogni cosa della vita, espone a rischi (tipicamente, il rischio di quella cosa che oggi non c'è più: l'inflazione), ma che attenua (non voglio dire elimina) il potere di ricatto e di ingerenza di interessi esteri sul processo democratico del Paese.
La situazione nella quale ci troviamo è paradossale sotto molti profili, ma qui mi basterà sottolinearne uno. Sappiamo tutti quali condizioni occorre siano realizzate affinché una moneta unica possa essere sostenibile, sopportabile (perché desiderabile non credo lo sia mai) per stati diversi. Ecco: sono esattamente quelle condizioni che non noi barbari antieuropeisti populisti xenofascioleghisti, ma il nostro amico Gunther, lui così cristiano, così democratico, e così cristiano democratico, ci dimostra essere irrealizzabili in Europa: in primis l'esistenza di una genuina solidarietà politica (ma prima ancora antropologica, culturale...). Mi spiace molto per chi ci accusa a vanvera di essere antitedeschi o antieuropei. Esorto chiunque a cercare in quanto ho scritto parole di indiscriminato biasimo verso il popolo tedesco: non credo ne troverà. Viceversa, le parole di Gunther sono antieuropee, perché sono molto pesanti: esse teorizzano la rappresaglia dei mercati, come i suoi avi, forse, erano parte di quella maggioranza rumorosa di tedeschi che teorizzava le rappresaglie uso Fosse Ardeatine.
Le prime non funzioneranno come non hanno funzionato le seconde, e il motivo sarà lo stesso: non tanto il nostro malanimo (nel mio caso inesistente) verso la Germania, quanto l'insofferenza degli Stati Uniti verso l'arroganza di un paese che in fondo è uscito come noi sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, ma si erge a dominus del subcontinente europeo portandolo a una balcanizzazione che forse può anche essere funzionale a progetti egemonici di più ampio respiro, ma che d'altra parte evoca lo spettro di sempre: la saldatura fra Russia e Germania (che procede, fra loro, nonostante noi si debba sottostare alle sanzioni).
Oggi c'è un unico modo di essere veramente amici dell'Europa vera, quella culturale, quella nella quale ci indentifichiamo e ci individuiamo, non fosse che per negazione (perché non siamo asiatici, non siamo africani, non siamo americani... e non siamo nemmeno pinguini!). Questo modo è togliere dal progetto politico europeo, che non si basa su una identità positiva sufficientemente forte da produrre la necessaria solidarietà, quegli elementi che necessariamente alterano i rapporti di forza fra paesi. Abbiamo avuto un'Europa funzionante: quella antecedente a Maastricht, quella alla quale il nostro programma elettorale proponeva di tornare, negoziando con gli altri paesi europei, secondo una proposta che qui voi conoscete benissimo: quella del Manifesto di Solidarietà Europea. La rigidità del cambio, e la necessità, per rifinanziare il proprio sistema monetario e finanziario, di ricorrere a una banca centrale potenzialmente controllata da interessi esteri, o comunque obbligata a tener conto anche delle condizioni di paesi molto diversi dal nostro, sono i due principali elementi che alterano le normali regole del mercato, impedendo l'aggiustamento dei prezzi relativi (si può credere nel mercato impedende ai prezzi di funzionare?) e conducendo inevitabilmente a drogare con credito facile le economie periferiche, ma anche quelle centrali del sistema.
Da un progetto di costruzione di un mercato, l'Unione Europea è diventata insensibilmente, ma ormai platealmente, un progetto di alterazione del mercato, e certe regole sono parte del problema. Non è una novità, lo sapevano tutti.
Vogliamo parlare dell'assurdità di chi dopo averci imposto regole procicliche in recessione ("c'è la crisi, fate austerità!") vuole imporci regole anticicliche in espansione ("bisogna riparare il tetto quando c'è il sole")?
Ecco, non c'è altro da dire, o forse qualcosa c'è. Se lo scopo dei mercati fosse creare valore, anche egoisticamente, per se stessi, l'insistenza su regole che il valore lo distruggono sarebbe irrazionale. L'unica razionalità che possiamo ravvisarci, sperando di non sbagliare, risiede nel fatto che l'imposizione di simili regole è funzionale all'ingerenza di fantomatiche entità terze ("i mercati") nella vita politica dei paesi. Il beneficio che ne otterrebbero, lo sappiamo, è quello di alterare la distribuzione del reddito a vantaggio del capitale e a danno del lavoro (incluso quello di professionisti, piccoli imprenditori, commercianti, e di altre categorie che la sinistra abitualmente cataloga fra i "nemici del popolo").
Ma forse non c'è nemmeno questa razionalità, e ciò cui stiamo assistendo è solo una immensa tragedia dell'assurdo. Trasformare le prossime elezioni in un insensato referendum sull'euro, anziché lasciar lavorare un governo che aveva come priorità far ripartire l'economia italiana, riformandola in profondità, per poi negoziare autorevolmente in Europa regole più razionali per tutti, non è stato un gesto di grande saggezza: chi ha agito in questo modo si è preso una schiacciante responsabilità politica.
I mercati, lo si insegna al secondo anno di economia, falliscono. Forse chi ha sottomesso la volontà politica della maggioranza al supremo interesse dei mercati non si è accorto della crisi causata dalla Lehman (istituzione privata), non ha mai sentito parlare della crisi del 1929, ecc. Può capitare: se uno studia la Costituzione, magari non studia storia economica, e magari poi si dimentica anche quello che ha studiato.
Va bene così.
Chi invece studia la storia e l'economia sa che le cose vanno come devono andare: i progetti insostenibili, per definizione, crollano, e non c'è nessun bisogno di referendum, così come, del resto, non c'è bisogno di nessun impeachment per sconfiggere chi ha voluto agire da avversario politico anziché da arbitro: la sconfitta, anche qui, è nell'insostenibilità del progetto e nel fatto che gli italiani lo rifiutano in maggioranza (una maggioranza che cresce a vista d'occhio). Sarebbe opportuno abbandonare la dimensione dogmatica per essere pronti a fronteggiare tutte le circostanze. Il dogma dell'infallibilità dei mercati (o, se volete, dell'irreversibilità delle regole), invece, ci imporrà di arrivare impreparati all'evento, che pur non essendo catastrofico come quello di Tunguska o di Chicxulub, sarà in ogni caso molto più dannoso che se la razionalità prevalesse.
Chi, in tutta evidenza, non vuole che la razionalità prevalga (come il nostro amico Gunther), se ne prende la responsabilità davanti agli uomini, e, se è cristiano (non cristiano democratico) anche davanti a Dio.
Auguri.
(...e ora andiamo in aula a sentire la discussione sul decreto Alitalia: altro bel capolavoro del partito che ha governato finora...)
Ne avevamo parlato nel post precedente: è quello che, giocando in squadra con il suo amico Martin, era riuscito a scalzare dalla Commissione Budget la commissaria bulgara (Kristalina Georgieva), non sia mai un non tedesco si fosse trovato a maneggiare i fondi per la programmazione europea 2021-2027! La Bulgaria è stato di frontiera, e magari avrebbe posto qualche resistenza alla filosofia immigrazionista che l'altro nostro amico, Wolfgang (Schäuble) aveva imposto, nell'esclusivo interesse della Germania, paese in perenne crisi demografica. Quindi, non sia mai la Kristalina avesse anche pensato non dico a qualche respingimento, ma a un minimo di regole, ecco che il problema è risolto: la si manda alla Banca Mondiale, e al suo posto arriva Gunther, casualmente dello stesso partito della Merkel.
Ah, Gunther! Una pasta d'uomo, e soprattutto, come ci si aspetta da un Cristiano (e Democratico), un uomo di fede. Gunther crede. Crede nel mercato. Crede che i problemi che non riesce a risolvere lui, li risolva il mercato. Lui è riuscito a risolvere il problema di mettere il budget UE pressoché interamente in mano tedesca. Il mercato, secondo lui, risolverà il problema di far votare "bene" (per lui) gli italiani (cioè noi):
Voi mi direte che pensare una cosa simile non è un grande segno di umanità, o almeno di solidarietà europea, ma poi addirittura dirla non è un gran segno di intelligenza! Sono d'accordo con voi, ma che ci volete fare? Io vi ho sempre detto qual è il difetto dei tedeschi, popolo che personalmente ammiro per quanto ha di buono: qualsiasi altro popolo combatte fino alla vittoria, loro combattono fino alla sconfitta.
Amen.
Con questa uscita del nostro amico Gunther (tweet soppresso), e con il comportamento del nostro Presidente della Repubblica, credo che sia definitivamente risolto il problema di far capire, a chi ancora non l'avesse capito, cosa volessi dire nel lontano 2012, quando vi mettevo in guardia con queste parole:
"Deliberata ed esplicita e rivendicata soppressione del dibattito democratico...".
Lo so.
Molti di voi, leggendo queste parole sei anni fa, avranno detto: "Bè, sì, è bravino, certo, è eloquente, senza dubbio, l'euro non funziona, chi lo nega, però in fondo lui esagera...".
E ora vi sorprendete (voi, io no...) nel trovarvi con un governo rifiutato per delitto di opinione (quello sorprendentemente imputato a Paolo Savona), nonostante fosse espressione di giorni e giorni di lavoro di una maggioranza della cui faticosa costruzione, in tempi normali, il Presidente della Repubblica avrebbe potuto giustamente rivendicare il merito.
Ma questo non basta!
Vi trovate anche con un premier uscito fuori dal cilindro (ma in realtà preparato scientificamente a tavolino da mesi, con una ben precisa strategia mediatica che solo agli ingenui poteva sfuggire), il quale, lellero lellero, andrà a farsi votare la fiducia da nessuno. Ma non fa niente: lui è stato scelto perché rassicuri i mercati, o almeno questo è quello che ci dicono, quando in realtà è già assolutamente chiaro dove si voglia andare a parare: avere un docile esecutore che, una volta aizzati i mercati (grazie anche alle parole del buon Gunther o di qualche altro simpatico buontempone della CDU infiltrato o meno a Bruxelles), con la solita scusa dell'emergenza nazionale (FATE PRESTO!), magari chieda un prestito alla troika, e metta il paese sotto commissariamento, o almeno faccia qualche bel decreto "salva Italia" aggredendo il nostro patrimonio immobiliare (perché tanto è lì che vogliono andare a parare, e lo sappiamo bene).
Tutto questo perché l'Italia fa parte di quel club di scriteriati che hanno deciso di non essere liquidi nella propria moneta: situazione quest'ultima che ovviamente, come ogni cosa della vita, espone a rischi (tipicamente, il rischio di quella cosa che oggi non c'è più: l'inflazione), ma che attenua (non voglio dire elimina) il potere di ricatto e di ingerenza di interessi esteri sul processo democratico del Paese.
La situazione nella quale ci troviamo è paradossale sotto molti profili, ma qui mi basterà sottolinearne uno. Sappiamo tutti quali condizioni occorre siano realizzate affinché una moneta unica possa essere sostenibile, sopportabile (perché desiderabile non credo lo sia mai) per stati diversi. Ecco: sono esattamente quelle condizioni che non noi barbari antieuropeisti populisti xenofascioleghisti, ma il nostro amico Gunther, lui così cristiano, così democratico, e così cristiano democratico, ci dimostra essere irrealizzabili in Europa: in primis l'esistenza di una genuina solidarietà politica (ma prima ancora antropologica, culturale...). Mi spiace molto per chi ci accusa a vanvera di essere antitedeschi o antieuropei. Esorto chiunque a cercare in quanto ho scritto parole di indiscriminato biasimo verso il popolo tedesco: non credo ne troverà. Viceversa, le parole di Gunther sono antieuropee, perché sono molto pesanti: esse teorizzano la rappresaglia dei mercati, come i suoi avi, forse, erano parte di quella maggioranza rumorosa di tedeschi che teorizzava le rappresaglie uso Fosse Ardeatine.
Le prime non funzioneranno come non hanno funzionato le seconde, e il motivo sarà lo stesso: non tanto il nostro malanimo (nel mio caso inesistente) verso la Germania, quanto l'insofferenza degli Stati Uniti verso l'arroganza di un paese che in fondo è uscito come noi sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, ma si erge a dominus del subcontinente europeo portandolo a una balcanizzazione che forse può anche essere funzionale a progetti egemonici di più ampio respiro, ma che d'altra parte evoca lo spettro di sempre: la saldatura fra Russia e Germania (che procede, fra loro, nonostante noi si debba sottostare alle sanzioni).
Oggi c'è un unico modo di essere veramente amici dell'Europa vera, quella culturale, quella nella quale ci indentifichiamo e ci individuiamo, non fosse che per negazione (perché non siamo asiatici, non siamo africani, non siamo americani... e non siamo nemmeno pinguini!). Questo modo è togliere dal progetto politico europeo, che non si basa su una identità positiva sufficientemente forte da produrre la necessaria solidarietà, quegli elementi che necessariamente alterano i rapporti di forza fra paesi. Abbiamo avuto un'Europa funzionante: quella antecedente a Maastricht, quella alla quale il nostro programma elettorale proponeva di tornare, negoziando con gli altri paesi europei, secondo una proposta che qui voi conoscete benissimo: quella del Manifesto di Solidarietà Europea. La rigidità del cambio, e la necessità, per rifinanziare il proprio sistema monetario e finanziario, di ricorrere a una banca centrale potenzialmente controllata da interessi esteri, o comunque obbligata a tener conto anche delle condizioni di paesi molto diversi dal nostro, sono i due principali elementi che alterano le normali regole del mercato, impedendo l'aggiustamento dei prezzi relativi (si può credere nel mercato impedende ai prezzi di funzionare?) e conducendo inevitabilmente a drogare con credito facile le economie periferiche, ma anche quelle centrali del sistema.
Da un progetto di costruzione di un mercato, l'Unione Europea è diventata insensibilmente, ma ormai platealmente, un progetto di alterazione del mercato, e certe regole sono parte del problema. Non è una novità, lo sapevano tutti.
Vogliamo parlare dell'assurdità di chi dopo averci imposto regole procicliche in recessione ("c'è la crisi, fate austerità!") vuole imporci regole anticicliche in espansione ("bisogna riparare il tetto quando c'è il sole")?
Ecco, non c'è altro da dire, o forse qualcosa c'è. Se lo scopo dei mercati fosse creare valore, anche egoisticamente, per se stessi, l'insistenza su regole che il valore lo distruggono sarebbe irrazionale. L'unica razionalità che possiamo ravvisarci, sperando di non sbagliare, risiede nel fatto che l'imposizione di simili regole è funzionale all'ingerenza di fantomatiche entità terze ("i mercati") nella vita politica dei paesi. Il beneficio che ne otterrebbero, lo sappiamo, è quello di alterare la distribuzione del reddito a vantaggio del capitale e a danno del lavoro (incluso quello di professionisti, piccoli imprenditori, commercianti, e di altre categorie che la sinistra abitualmente cataloga fra i "nemici del popolo").
Ma forse non c'è nemmeno questa razionalità, e ciò cui stiamo assistendo è solo una immensa tragedia dell'assurdo. Trasformare le prossime elezioni in un insensato referendum sull'euro, anziché lasciar lavorare un governo che aveva come priorità far ripartire l'economia italiana, riformandola in profondità, per poi negoziare autorevolmente in Europa regole più razionali per tutti, non è stato un gesto di grande saggezza: chi ha agito in questo modo si è preso una schiacciante responsabilità politica.
I mercati, lo si insegna al secondo anno di economia, falliscono. Forse chi ha sottomesso la volontà politica della maggioranza al supremo interesse dei mercati non si è accorto della crisi causata dalla Lehman (istituzione privata), non ha mai sentito parlare della crisi del 1929, ecc. Può capitare: se uno studia la Costituzione, magari non studia storia economica, e magari poi si dimentica anche quello che ha studiato.
Va bene così.
Chi invece studia la storia e l'economia sa che le cose vanno come devono andare: i progetti insostenibili, per definizione, crollano, e non c'è nessun bisogno di referendum, così come, del resto, non c'è bisogno di nessun impeachment per sconfiggere chi ha voluto agire da avversario politico anziché da arbitro: la sconfitta, anche qui, è nell'insostenibilità del progetto e nel fatto che gli italiani lo rifiutano in maggioranza (una maggioranza che cresce a vista d'occhio). Sarebbe opportuno abbandonare la dimensione dogmatica per essere pronti a fronteggiare tutte le circostanze. Il dogma dell'infallibilità dei mercati (o, se volete, dell'irreversibilità delle regole), invece, ci imporrà di arrivare impreparati all'evento, che pur non essendo catastrofico come quello di Tunguska o di Chicxulub, sarà in ogni caso molto più dannoso che se la razionalità prevalesse.
Chi, in tutta evidenza, non vuole che la razionalità prevalga (come il nostro amico Gunther), se ne prende la responsabilità davanti agli uomini, e, se è cristiano (non cristiano democratico) anche davanti a Dio.
Auguri.
(...e ora andiamo in aula a sentire la discussione sul decreto Alitalia: altro bel capolavoro del partito che ha governato finora...)
mercoledì 23 maggio 2018
Pilkington (S. Salvo, Europa).
(...l'ho presa benissimo...)
La storia è qui. Oggi siamo messi così:
Il mio commento è questo:
(la definizione di posizionamento sul mercato è qui: è semplicemente il rapporto fra saldo commerciale in un settore specifico, e volume del commercio mondiale nello stesso settore).
Ai lettori del blog non occorrerà altro.
Agli altri voglio dire una cosa.
L'esperienza della mia candidatura mi ha posto improvvisamente a confronto con un aspetto dell'impegno politico che mi era del tutto oscuro, per quanto nulla abbia di segreto o di arcano: la sua dimensione territoriale. Banalmente: si viene eletti in collegi, che sono porzioni di territorio. Io non ero un politico, quindi non ci avevo mai pensato.
Più volte ho espresso, ad esempio qui, il mio rispetto per gli attivisti che sul territorio da anni costruiscono quella struttura che mi ha consentito di avvicinarmi agli elettori e ai loro problemi. Il loro lavoro umile e tenace è stato il presupposto per l'affermazione delle mie idee. Ma ce n'era anche un altro di presupposto, perché le mie idee si affermassero: che queste idee ci fossero, e che io avessi il coraggio civile di esprimerle su questo blog. Il mio collegio, quindi, è in primis et ante omnia il web, e questo non lo dimentico, né dovrebbero dimenticarlo gli altri.
C'è anche una dimensione meno esaltante, per me che tendo a parlare di ciò che so, dell'impegno politico territoriale, soprattutto con una legge come il Rosatellum. Mi mette oggettivamente in difficoltà il fatto, peraltro comprensibile, e entro certi termini fisiologico, di essere visto nel "mio" collegio, quello in cui sono "scattato" perché ho preso meno (non più: meno) voti che altrove, come un taumaturgo, o, come oggi si direbbe, un tuttologo, che tutto deve sapere e che tutto deve risolvere (con o senza imposizione delle mani). Ripeto che se fossi stato chiamato a optare dalla legge elettorale avrei forse optato per l'Abruzzo, perché la mia attività professionale mi ha portato a conoscere le criticità di quella regione più di altre dove ero candidato (certo, sono affettivamente legato alla Toscana, e questa settimana sarò a Campi Bisenzio, Arezzo e Siena, ma se dovessi dire che conosco le criticità di quella regione come conosco quelle abruzzesi mentirei: comunque, sono disposto sempre ad ascoltare e imparare: e per questo vado a Campi Bisenzio, Arezzo, e Siena).
Il punto che vorrei sottolineare però non riguarda strettamente il rapporto con gli elettori. Loro hanno assolutamente il sacrosanto diritto di sentirsi rappresentati a Roma, e io ho il dovere imperativo di rappresentarli, tutti, inclusi quelli che avrebbero preferito essere rappresentati da politici con una visione discutibile dell'interesse del paese (vedi sotto). Tuttavia gli elettori dovrebbero capire, e senz'altro capiranno, che certo, io sono colui che sono, e soprattutto so quello che so, ma purtroppo sono ancora uno e non trino, il che mi impone di scegliere il campo di battaglia su cui schierarmi. Andare in giro a far promesse sperando che qualcuno le mantenga (more piddino) è senz'altro un'attività piacevole: poi si va a cena insieme, se si ha tempo (io non ne ho), l'Italia è un posto dove si mangia bene e l'Abruzzo un posto dove si mangia meglio (io sono perennemente a dieta), e domani è un altro giorno. Ma naturalmente se si fa questo, gli elettori lo capiranno, non si fanno altre cose: non si combatte a livello nazionale, non ci si occupa della legge di bilancio, non si gestisce il rapporto con l'Europa.
Volete sapere come gestisce questo rapporto il PD? Per darvene plastica rappresentazione, basterà che vi dica chi si sta occupando della redazione del bilancio dell'UE in questo momento. Sì, sto parlando di quel bilancio che nei sogni di Giove Macronio dovrebbe essere gestito dal Ministro delle Finanze Europeo per rilanciare lo sviluppo dell'Europa (che non esiste), con una quantità di soldi che è irrisoria se paragonata all'obiettivo dichiarato, e spropositata se paragonata all'obiettivo vero: integrare nei mercati del lavoro delle nazioni dove il lavoro c'è (Germania) lavoratori esteri a basso costo, per proseguire con la politica di dumping ai nostri danni (anziché consentire a noi una gestione razionale del processo migratorio, rimpatri compresi).
Bene, ve lo racconto. Il prossimo quadro finanziario pluriannuale (MFF), il budget post-2020, è già stato ipotecato, e rappresenta un caso lampante (forse il più lampante) dello strapotere tedesco e dell’inconsistenza italiana. A gennaio 2016, in un seminario per pochi eletti, Schaeuble ha dettato la linea, intimando ai presenti (fra cui il senior management della Commissione) di smetterla di blaterare di budget per la zona euro, di nuovi strumenti di bilancio (insomma, di lasciar parlare i francesi), e di concentrarsi invece sul taglio delle vecchie priorità del budget (agricoltura e coesione, cioè, se vogliamo, Francia e Italia) per finanziare le nuove (difesa, migrazione, sicurezza interna ed esterna). Priorità tedesche, da gestire alla tedesca, ovviamente. Da quel giorno tutta la Commissione ha iniziato a preparare la proposta del futuro budget in base a quella linea. A Roma non si sono mossi. Il tema non gli interessava (nonostante gli allarmi di alcuni nostri funzionari), e ovviamente i risultati si sono visti: nel corso del 2016-2017 tutta la scala gerarchica di chi si occupava del futuro budget è stata occupata da tedeschi, contravvenendo alle regole di funzionamento interno delle Commissione, che a chiacchiere esigono una rappresentanza equilibrata delle diverse nazionalità.
Vi ricordate chi era il Commissario al budget e alle risorse umane? Kristalina Georgieva, che con un tempestivo promoveatur ut amoveatur, determinato da conflitti con Selmayr (questo), se n’è andata alla World Bank, lasciando il posto di Commissario responsabile a Oettinger (tedesco, CDU). Scendendo per li rami, chi troviamo? La Direttrice Generale è Nadia Calviño, quota socialista spagnola: le apparenza bisogna pur salvarle. Sotto di lei il Vicedirettore Generale è un italiano: siamo in mano sua. Quindi tutto bene? Aspettate. Sotto l'italiano, il Direttore è Stefan Lehner, tedesco, un passato al Bundesministerium der Finanzen, caso unico in Commissione di un funzionario che pur occupandosi di fondi non è stato spostato dopo i fatidici cinque anni (qui trovate le sue variopinte e rassicuranti slides). Lui è lì da dodici, a gestire i soldi dell'intera Leuropa, e il 2021-2027 è il terzo quadro finanziario pluriannuale che decide, mentre, per fare solo un esempio, i segretari amministrativi dei nostri Dipartimenti universitari sono soggetti a rigida turnazione perché "ce lo chiede l'anticorruzione"! Sotto di lui, capo unità, Andreas Schwarz, ex watchdog tedesco nel gabinetto della Georgieva (liquidata come s'è detto). Sotto di lui, altro caso unico in Commissione, il vice capo unità è un altro tedesco, Claudius Schmitt-Faber, che è appena tornato un anno fa da un distacco di due anni al Bundesministerium der Finanzen. Sotto di lui, altri due tedeschi: uno (Michael Grams) era ad Ecfin nel Desk Germania, dove si occupava di dire che il surplus estero tedesco non è un problema e di ammorbidire le raccomandazioni della Commissione alla Germania; l'altro, Thilo Maurer, lavorava con un mio nuovo collega (indovinate quale)! Così si blinda la preparazione del bilancio settennale, nell'inerzia italiana.
E io devo stare ad ascoltare le lezioncine sbagliate di economia del rappresentante di un partito che ha permesso tutto questo? Non credo proprio, non funziona così: io posso anche accettarlo per cortesia, e l'ho fatto,ma quali elettori lo accetteranno, dopo aver letto i fatti che precedono? Perché è lì, in quei tavoli, che si decide l'allocazione dei fondi per il rilancio del nostro paese, e chi oggi fa il patriota vuoto a perdere quei tavoli li ha disertati, e quindi dovrebbe avere il pudore di tacere.
Sono stato io il primo a dire che entro certi limiti è opportuno che i parlamentari del territorio si uniscano e facciano fronte comune a Roma come i parlamentari tedeschi si uniscono e fanno fronte comune a Bruxelles (vedi sopra). Però vorrei anche che uscissimo una volta per tutte dalla retorica dall'embrassons nous generale, da questo buonismo assolutorio, dalla demagogia del "rimbocchiamoci le maniche insieme". Vorrei che capissimo che chi è stato parte del problema non potrà essere parte della soluzione, e se anche potesse entro certi limiti non sarebbe giusto coinvolgerlo: sarebbe invocare una politica senza responsabilità. Gli errori devono essere pagati.
Gli amministratori, per carità, fanno bene ad assicurare il pluralismo, ci mancherebbe. Mi sembra senz'altro lecito dare l'ultima parola a chi è stato sconfitto dagli elettori e permettergli di dire le sue banalità senza assicurare diritto di replica a chi invece le elezioni le ha vinte perché aveva argomenti. Tuttavia, vorrei dire che per avere questo non devo sbattermi a tre ore di macchina da Roma: mi basta restare a casa mia e mettermi in collegamento telefonico con una trasmissione radiofonica del servizio pubblico. Devo anche rimarcare che ieri sera, in una diversa riunione, presieduta da uno che si è fatto sette legislature, è stato due volte ministro, ed è stato molto cortese con me, mi hanno detto che normalmente non si fa così, e che l'ultima parola spetta d'abitudine alla maggioranza (io ho obiettato che la maggioranza ancora non c'è, il che stava causando qualche problema procedurale). Però a me questo modus operandi sembra accettabilissimo, e anzi, incoraggio chiunque in futuro mi inviterà a fare così, a concepire il contraddittorio in questo modo, e sapete perché lo incoraggio? Perché così facendo il bisturi del voto inciderà definitivamente il bubbone. Non so se le elezioni politiche saranno fra due mesi o fra cinque anni: so solo che, dopo, non ci saranno giovani esponenti di un partito fallito e fallimentare ad alimentare il contraddittorio, perché il popolo li avrà mandati a stendere (e, con loro, chi continua a dargli tanta immeritata tribuna). Questa è la democrazia, e a me piace. Capisco che agli altri possa non piacere: strano come una meritata vittoria vista dal basso somigli a una immeritata sconfitta!
Bene.
Sia chiaro che io non tollererò più che in mia presenza venga fatta disinformazione (tradotto: la prossima volta mi alzo e me ne vado). Non è con la disinformazione, ma con l'informazione, che sono arrivato in Senato. Non tollererò più che politici che hanno perso, e che gli elettori raderanno definitivamente al suolo (la Valle d'Aosta è solo l'antipasto), si arroghino il diritto di scaricare in mia presenza sul paese, sugli italiani, la colpa di tre decenni di loro fallimenti e di loro umiliante subalternità (vedi sopra la catena di comando del prossimo budget UE). Nessuno mi obbliga a farlo. So che abbiamo vinto solo una battaglia e non la guerra, ma era la vostra Borodino, e il popolo è con noi. Sta cominciando l'estate. Se non vi ritirate ora, vi ritirerete d'inverno. Lascerete per strada ancora qualche Platon Karataev, ma lascerete anche tutti i vostri carri, tutti i vostri cavalli, tutte le vostre bandiere, e soprattutto tutta la vostra insopportabile e radicalmente immotivata spocchia.
E allora, per concludere: io ho il dovere di rappresentare il territorio, di rappresentare le mille esigenze particolari e di fare il possibile per assicurare che venga riparato il ponte tale o l'acquedotto talaltro, e ho già cominciato a fare quanto mi era possibile prima ancora che il governo venisse costituito (e con qualche minimo risultato). Ma chi è sul territorio, e non mi riferisco né agli elettori, né agli attivisti, ma agli amministratori, dovrebbe, nel suo interesse, lasciarmi spiegare (o, se lo desidera, spiegare lui) perché gli investimenti pubblici in Italia sono scesi dai 54 miliardi del 2009 ai 33 del 2017, e quelli in strade dai 10 miliardi del 2009 agli 8 del 2016 (il dato 2017 non è ancora pervenuto):
Questi tagli, di farli, ce l'ha chiesto l'Europa, e non credo che possiate nasconderlo, visto che per anni la solfa del "ce lo chiede l'Europa" l'avete cantata proprio voi. Quindi se si parla di crisi del vetro si parla di Europa, se si parla del fatto che far arrivare un container da Napoli costa poco meno che farlo arrivare dal Vietnam si parla di Europa, se si parla del fatto che le infrastrutture non solo non vengono fatte, ma soprattutto non vengono manutenute si parla di Europa, ecc. E il punto non è che l'Europa è cattiva, ma che chi ci si doveva confrontare non è stato molto intelligente (o è stato troppo furbo). Quindi, se mi chiamate, sappiate che parlerò di Europa: se non volete sentire, basterà non chiamarmi. Sappiate anche che non sarò, perché non penso di doverlo essere, tenero con chi ci ha messo in questa situazione. Io sto bene anche a casa mia, e forse da casa mia posso contribuire meglio a risolvere certi problemi, se non altro portandoli all'attenzione di un pubblico più ampio.
Tanto dovevo agli elettori del Vastese.
(...ah, nel caso qualcuno di quelli che erano lì ieri sera volesse sapere di cosa avrei parlato: avrei parlato anche di questo, per farvi capire che i vostri dossier sono sui nostri tavoli da tempo. Questo fa paura: che anche se il nostro programma fosse identico al vostro, noi riusciremmo a realizzarlo meglio di voi, ed è per questo che giù al Nord sono tanto in apprensione...)
(...avrei l'assemblea Confindustria, ma, alla luce del discorso precedente, piuttosto che andare a sentirmi dire le solite invereconde baggianate, preferisco andare in palestra. Il mio istruttore è un leghista, ma ha anche dei difetti...)
La storia è qui. Oggi siamo messi così:
Il mio commento è questo:
(la definizione di posizionamento sul mercato è qui: è semplicemente il rapporto fra saldo commerciale in un settore specifico, e volume del commercio mondiale nello stesso settore).
Ai lettori del blog non occorrerà altro.
Agli altri voglio dire una cosa.
L'esperienza della mia candidatura mi ha posto improvvisamente a confronto con un aspetto dell'impegno politico che mi era del tutto oscuro, per quanto nulla abbia di segreto o di arcano: la sua dimensione territoriale. Banalmente: si viene eletti in collegi, che sono porzioni di territorio. Io non ero un politico, quindi non ci avevo mai pensato.
Più volte ho espresso, ad esempio qui, il mio rispetto per gli attivisti che sul territorio da anni costruiscono quella struttura che mi ha consentito di avvicinarmi agli elettori e ai loro problemi. Il loro lavoro umile e tenace è stato il presupposto per l'affermazione delle mie idee. Ma ce n'era anche un altro di presupposto, perché le mie idee si affermassero: che queste idee ci fossero, e che io avessi il coraggio civile di esprimerle su questo blog. Il mio collegio, quindi, è in primis et ante omnia il web, e questo non lo dimentico, né dovrebbero dimenticarlo gli altri.
C'è anche una dimensione meno esaltante, per me che tendo a parlare di ciò che so, dell'impegno politico territoriale, soprattutto con una legge come il Rosatellum. Mi mette oggettivamente in difficoltà il fatto, peraltro comprensibile, e entro certi termini fisiologico, di essere visto nel "mio" collegio, quello in cui sono "scattato" perché ho preso meno (non più: meno) voti che altrove, come un taumaturgo, o, come oggi si direbbe, un tuttologo, che tutto deve sapere e che tutto deve risolvere (con o senza imposizione delle mani). Ripeto che se fossi stato chiamato a optare dalla legge elettorale avrei forse optato per l'Abruzzo, perché la mia attività professionale mi ha portato a conoscere le criticità di quella regione più di altre dove ero candidato (certo, sono affettivamente legato alla Toscana, e questa settimana sarò a Campi Bisenzio, Arezzo e Siena, ma se dovessi dire che conosco le criticità di quella regione come conosco quelle abruzzesi mentirei: comunque, sono disposto sempre ad ascoltare e imparare: e per questo vado a Campi Bisenzio, Arezzo, e Siena).
Il punto che vorrei sottolineare però non riguarda strettamente il rapporto con gli elettori. Loro hanno assolutamente il sacrosanto diritto di sentirsi rappresentati a Roma, e io ho il dovere imperativo di rappresentarli, tutti, inclusi quelli che avrebbero preferito essere rappresentati da politici con una visione discutibile dell'interesse del paese (vedi sotto). Tuttavia gli elettori dovrebbero capire, e senz'altro capiranno, che certo, io sono colui che sono, e soprattutto so quello che so, ma purtroppo sono ancora uno e non trino, il che mi impone di scegliere il campo di battaglia su cui schierarmi. Andare in giro a far promesse sperando che qualcuno le mantenga (more piddino) è senz'altro un'attività piacevole: poi si va a cena insieme, se si ha tempo (io non ne ho), l'Italia è un posto dove si mangia bene e l'Abruzzo un posto dove si mangia meglio (io sono perennemente a dieta), e domani è un altro giorno. Ma naturalmente se si fa questo, gli elettori lo capiranno, non si fanno altre cose: non si combatte a livello nazionale, non ci si occupa della legge di bilancio, non si gestisce il rapporto con l'Europa.
Volete sapere come gestisce questo rapporto il PD? Per darvene plastica rappresentazione, basterà che vi dica chi si sta occupando della redazione del bilancio dell'UE in questo momento. Sì, sto parlando di quel bilancio che nei sogni di Giove Macronio dovrebbe essere gestito dal Ministro delle Finanze Europeo per rilanciare lo sviluppo dell'Europa (che non esiste), con una quantità di soldi che è irrisoria se paragonata all'obiettivo dichiarato, e spropositata se paragonata all'obiettivo vero: integrare nei mercati del lavoro delle nazioni dove il lavoro c'è (Germania) lavoratori esteri a basso costo, per proseguire con la politica di dumping ai nostri danni (anziché consentire a noi una gestione razionale del processo migratorio, rimpatri compresi).
Bene, ve lo racconto. Il prossimo quadro finanziario pluriannuale (MFF), il budget post-2020, è già stato ipotecato, e rappresenta un caso lampante (forse il più lampante) dello strapotere tedesco e dell’inconsistenza italiana. A gennaio 2016, in un seminario per pochi eletti, Schaeuble ha dettato la linea, intimando ai presenti (fra cui il senior management della Commissione) di smetterla di blaterare di budget per la zona euro, di nuovi strumenti di bilancio (insomma, di lasciar parlare i francesi), e di concentrarsi invece sul taglio delle vecchie priorità del budget (agricoltura e coesione, cioè, se vogliamo, Francia e Italia) per finanziare le nuove (difesa, migrazione, sicurezza interna ed esterna). Priorità tedesche, da gestire alla tedesca, ovviamente. Da quel giorno tutta la Commissione ha iniziato a preparare la proposta del futuro budget in base a quella linea. A Roma non si sono mossi. Il tema non gli interessava (nonostante gli allarmi di alcuni nostri funzionari), e ovviamente i risultati si sono visti: nel corso del 2016-2017 tutta la scala gerarchica di chi si occupava del futuro budget è stata occupata da tedeschi, contravvenendo alle regole di funzionamento interno delle Commissione, che a chiacchiere esigono una rappresentanza equilibrata delle diverse nazionalità.
Vi ricordate chi era il Commissario al budget e alle risorse umane? Kristalina Georgieva, che con un tempestivo promoveatur ut amoveatur, determinato da conflitti con Selmayr (questo), se n’è andata alla World Bank, lasciando il posto di Commissario responsabile a Oettinger (tedesco, CDU). Scendendo per li rami, chi troviamo? La Direttrice Generale è Nadia Calviño, quota socialista spagnola: le apparenza bisogna pur salvarle. Sotto di lei il Vicedirettore Generale è un italiano: siamo in mano sua. Quindi tutto bene? Aspettate. Sotto l'italiano, il Direttore è Stefan Lehner, tedesco, un passato al Bundesministerium der Finanzen, caso unico in Commissione di un funzionario che pur occupandosi di fondi non è stato spostato dopo i fatidici cinque anni (qui trovate le sue variopinte e rassicuranti slides). Lui è lì da dodici, a gestire i soldi dell'intera Leuropa, e il 2021-2027 è il terzo quadro finanziario pluriannuale che decide, mentre, per fare solo un esempio, i segretari amministrativi dei nostri Dipartimenti universitari sono soggetti a rigida turnazione perché "ce lo chiede l'anticorruzione"! Sotto di lui, capo unità, Andreas Schwarz, ex watchdog tedesco nel gabinetto della Georgieva (liquidata come s'è detto). Sotto di lui, altro caso unico in Commissione, il vice capo unità è un altro tedesco, Claudius Schmitt-Faber, che è appena tornato un anno fa da un distacco di due anni al Bundesministerium der Finanzen. Sotto di lui, altri due tedeschi: uno (Michael Grams) era ad Ecfin nel Desk Germania, dove si occupava di dire che il surplus estero tedesco non è un problema e di ammorbidire le raccomandazioni della Commissione alla Germania; l'altro, Thilo Maurer, lavorava con un mio nuovo collega (indovinate quale)! Così si blinda la preparazione del bilancio settennale, nell'inerzia italiana.
E io devo stare ad ascoltare le lezioncine sbagliate di economia del rappresentante di un partito che ha permesso tutto questo? Non credo proprio, non funziona così: io posso anche accettarlo per cortesia, e l'ho fatto,ma quali elettori lo accetteranno, dopo aver letto i fatti che precedono? Perché è lì, in quei tavoli, che si decide l'allocazione dei fondi per il rilancio del nostro paese, e chi oggi fa il patriota vuoto a perdere quei tavoli li ha disertati, e quindi dovrebbe avere il pudore di tacere.
Sono stato io il primo a dire che entro certi limiti è opportuno che i parlamentari del territorio si uniscano e facciano fronte comune a Roma come i parlamentari tedeschi si uniscono e fanno fronte comune a Bruxelles (vedi sopra). Però vorrei anche che uscissimo una volta per tutte dalla retorica dall'embrassons nous generale, da questo buonismo assolutorio, dalla demagogia del "rimbocchiamoci le maniche insieme". Vorrei che capissimo che chi è stato parte del problema non potrà essere parte della soluzione, e se anche potesse entro certi limiti non sarebbe giusto coinvolgerlo: sarebbe invocare una politica senza responsabilità. Gli errori devono essere pagati.
Gli amministratori, per carità, fanno bene ad assicurare il pluralismo, ci mancherebbe. Mi sembra senz'altro lecito dare l'ultima parola a chi è stato sconfitto dagli elettori e permettergli di dire le sue banalità senza assicurare diritto di replica a chi invece le elezioni le ha vinte perché aveva argomenti. Tuttavia, vorrei dire che per avere questo non devo sbattermi a tre ore di macchina da Roma: mi basta restare a casa mia e mettermi in collegamento telefonico con una trasmissione radiofonica del servizio pubblico. Devo anche rimarcare che ieri sera, in una diversa riunione, presieduta da uno che si è fatto sette legislature, è stato due volte ministro, ed è stato molto cortese con me, mi hanno detto che normalmente non si fa così, e che l'ultima parola spetta d'abitudine alla maggioranza (io ho obiettato che la maggioranza ancora non c'è, il che stava causando qualche problema procedurale). Però a me questo modus operandi sembra accettabilissimo, e anzi, incoraggio chiunque in futuro mi inviterà a fare così, a concepire il contraddittorio in questo modo, e sapete perché lo incoraggio? Perché così facendo il bisturi del voto inciderà definitivamente il bubbone. Non so se le elezioni politiche saranno fra due mesi o fra cinque anni: so solo che, dopo, non ci saranno giovani esponenti di un partito fallito e fallimentare ad alimentare il contraddittorio, perché il popolo li avrà mandati a stendere (e, con loro, chi continua a dargli tanta immeritata tribuna). Questa è la democrazia, e a me piace. Capisco che agli altri possa non piacere: strano come una meritata vittoria vista dal basso somigli a una immeritata sconfitta!
Bene.
Sia chiaro che io non tollererò più che in mia presenza venga fatta disinformazione (tradotto: la prossima volta mi alzo e me ne vado). Non è con la disinformazione, ma con l'informazione, che sono arrivato in Senato. Non tollererò più che politici che hanno perso, e che gli elettori raderanno definitivamente al suolo (la Valle d'Aosta è solo l'antipasto), si arroghino il diritto di scaricare in mia presenza sul paese, sugli italiani, la colpa di tre decenni di loro fallimenti e di loro umiliante subalternità (vedi sopra la catena di comando del prossimo budget UE). Nessuno mi obbliga a farlo. So che abbiamo vinto solo una battaglia e non la guerra, ma era la vostra Borodino, e il popolo è con noi. Sta cominciando l'estate. Se non vi ritirate ora, vi ritirerete d'inverno. Lascerete per strada ancora qualche Platon Karataev, ma lascerete anche tutti i vostri carri, tutti i vostri cavalli, tutte le vostre bandiere, e soprattutto tutta la vostra insopportabile e radicalmente immotivata spocchia.
E allora, per concludere: io ho il dovere di rappresentare il territorio, di rappresentare le mille esigenze particolari e di fare il possibile per assicurare che venga riparato il ponte tale o l'acquedotto talaltro, e ho già cominciato a fare quanto mi era possibile prima ancora che il governo venisse costituito (e con qualche minimo risultato). Ma chi è sul territorio, e non mi riferisco né agli elettori, né agli attivisti, ma agli amministratori, dovrebbe, nel suo interesse, lasciarmi spiegare (o, se lo desidera, spiegare lui) perché gli investimenti pubblici in Italia sono scesi dai 54 miliardi del 2009 ai 33 del 2017, e quelli in strade dai 10 miliardi del 2009 agli 8 del 2016 (il dato 2017 non è ancora pervenuto):
Questi tagli, di farli, ce l'ha chiesto l'Europa, e non credo che possiate nasconderlo, visto che per anni la solfa del "ce lo chiede l'Europa" l'avete cantata proprio voi. Quindi se si parla di crisi del vetro si parla di Europa, se si parla del fatto che far arrivare un container da Napoli costa poco meno che farlo arrivare dal Vietnam si parla di Europa, se si parla del fatto che le infrastrutture non solo non vengono fatte, ma soprattutto non vengono manutenute si parla di Europa, ecc. E il punto non è che l'Europa è cattiva, ma che chi ci si doveva confrontare non è stato molto intelligente (o è stato troppo furbo). Quindi, se mi chiamate, sappiate che parlerò di Europa: se non volete sentire, basterà non chiamarmi. Sappiate anche che non sarò, perché non penso di doverlo essere, tenero con chi ci ha messo in questa situazione. Io sto bene anche a casa mia, e forse da casa mia posso contribuire meglio a risolvere certi problemi, se non altro portandoli all'attenzione di un pubblico più ampio.
Tanto dovevo agli elettori del Vastese.
(...ah, nel caso qualcuno di quelli che erano lì ieri sera volesse sapere di cosa avrei parlato: avrei parlato anche di questo, per farvi capire che i vostri dossier sono sui nostri tavoli da tempo. Questo fa paura: che anche se il nostro programma fosse identico al vostro, noi riusciremmo a realizzarlo meglio di voi, ed è per questo che giù al Nord sono tanto in apprensione...)
(...avrei l'assemblea Confindustria, ma, alla luce del discorso precedente, piuttosto che andare a sentirmi dire le solite invereconde baggianate, preferisco andare in palestra. Il mio istruttore è un leghista, ma ha anche dei difetti...)
giovedì 17 maggio 2018
La relazione pericolosa
La situazione nella quale mi sono trovato ieri in Commissione Speciale pare fosse completamente inedita. Ricapitolando: del DEF normalmente si occupa la V Commissione Permanente (Bilancio), che però, come sapete, al pari delle altre Commissioni Permanenti non si è ancora potuta insediare, perché ancora non si sa chi sia esattamente maggioranza e chi opposizione (e quindi non si possono assegnare le presidenze di commissione in modo da riflettere e controbilanciare l'equilibrio di poteri determinato - o non determinato! - dal voto). Il governo dimissionario, che avrebbe dovuto presentare il DEF il 10 aprile, ha avuto due ordini di riguardi: ha aspettato un po', per vedere se gli equilibri si definivano, e non ha inserito il "quadro programmatico", cioè non ci ha detto cosa avrebbe voluto fare, dato che in tutta questa incertezza una cosa sola era certa: che qualsiasi cosa fosse, non l'avrebbe fatta lui.
La cosa a grandi linee normalmente va così: c'è un governo, presenta il DEF entro il 10 aprile, viene assegnato per la discussione alla V Commissione, nella quale un relatore di maggioranza riferisce, la discussione si svolge, ognuno dice come la pensa sulle misure proposte dal governo, e poi si dà mandato al relatore di riferire in aula (favorevolmente, per forza di cose, visto che il DEF è prodotto da un governo espressione della stessa maggioranza del relatore).
Questa volta l'affare era piuttosto ingarbugliato, perché il DEF è espressione di un governo che non c'è più (anche se ogni tanto si comporta come se ci fosse ancora), il relatore, per forza di cose, era espressione di una maggioranza che non c'è ancora (per poco), e la discussione sulle misure contenute nel DEF era per definizione una discussione sul nulla, dal momento che il DEF in buona sostanza misure non ne contiene (d'altra parte, se c'è il pilota automatico, forse non si vede nemmeno perché mai dovrebbe contenerne)!
Ho passato due o tre giorni a cercar di capire cosa avrei dovuto fare, realizzando, a poco a poco, che cosa fare esattamente non era chiaro a molti, perché una situazione simile in effetti non si era mai presentata. Io, per non sbagliare, l'ho presa con il mio consueto spirito di servizio: siamo un'assemblea, dobbiamo discutere un documento, mi tocca riferire: bene: cercherò di chiarire bene cosa c'è nel documento, in modo che sia più facile discuterne il contenuto. Dato che nel documento c'era solo il tendenziale, ho discusso quello. Male non fare, paura non avere...
Condivido con voi la mia relazione, e poi, a seguire, vi rinvio al resoconto sommario della discussione che ne è seguita: una discussione della quale avrete modo di apprezzare il punto nodale, che era decidere se nominare o meno un senatore leghista (barbaro) per riferire in aula su un DEF del PD. Apprezzerete il contributo costruttivo dei colleghi del 5 stelle.
(...vedere le cose dall'interno non ha prezzo: di questo vi sarò eternamente grato. Per il resto ci sono gli arditi: quelli che col pugnale fra i denti vogliono muovere l'assalto al grido di "procomberò sol io!" A tanto ardore egotico foscoliano (scusa, Giacomo), preferisco il lavoro di squadra. Non ve lo sareste mai immaginato, vero!?...)
La cosa a grandi linee normalmente va così: c'è un governo, presenta il DEF entro il 10 aprile, viene assegnato per la discussione alla V Commissione, nella quale un relatore di maggioranza riferisce, la discussione si svolge, ognuno dice come la pensa sulle misure proposte dal governo, e poi si dà mandato al relatore di riferire in aula (favorevolmente, per forza di cose, visto che il DEF è prodotto da un governo espressione della stessa maggioranza del relatore).
Questa volta l'affare era piuttosto ingarbugliato, perché il DEF è espressione di un governo che non c'è più (anche se ogni tanto si comporta come se ci fosse ancora), il relatore, per forza di cose, era espressione di una maggioranza che non c'è ancora (per poco), e la discussione sulle misure contenute nel DEF era per definizione una discussione sul nulla, dal momento che il DEF in buona sostanza misure non ne contiene (d'altra parte, se c'è il pilota automatico, forse non si vede nemmeno perché mai dovrebbe contenerne)!
Ho passato due o tre giorni a cercar di capire cosa avrei dovuto fare, realizzando, a poco a poco, che cosa fare esattamente non era chiaro a molti, perché una situazione simile in effetti non si era mai presentata. Io, per non sbagliare, l'ho presa con il mio consueto spirito di servizio: siamo un'assemblea, dobbiamo discutere un documento, mi tocca riferire: bene: cercherò di chiarire bene cosa c'è nel documento, in modo che sia più facile discuterne il contenuto. Dato che nel documento c'era solo il tendenziale, ho discusso quello. Male non fare, paura non avere...
Condivido con voi la mia relazione, e poi, a seguire, vi rinvio al resoconto sommario della discussione che ne è seguita: una discussione della quale avrete modo di apprezzare il punto nodale, che era decidere se nominare o meno un senatore leghista (barbaro) per riferire in aula su un DEF del PD. Apprezzerete il contributo costruttivo dei colleghi del 5 stelle.
La relazione
Come è noto, in ragione del momento di transizione il
DEF al nostro esame è stato presentato in ritardo rispetto alle scadenze
naturali e non contempla alcun impegno per il futuro, bensì si limita alla
descrizione dell'evoluzione economico-finanziaria internazionale, e all’aggiornamento
delle previsioni macroeconomiche per l'Italia e del quadro di finanza pubblica
tendenziale che ne consegue.
Fornirò una sintesi dei principali elementi che il
governo propone alla valutazione delle Camere, articolandola secondo le
principali sezioni in cui si articola il documento, e fornendo limitati spunti
di analisi. In particolare, evidenzierò le principali modifiche sopravvenute
negli scenari proposti rispetto alla Nota di Aggiornamento al DEF presentata nel
settembre scorso.
Per quanto concerne il quadro macroeconomico descritto nel Programma di stabilità
(Tavola 1 del primo capitolo), nel periodo di previsione preso in
considerazione nel DEF, le stime contemplano una crescita del PIL pari a 1,5%
nel 2018 e 1,4% nel 2019 e una riduzione del tasso di disoccupazione
rispettivamente al 10,7% nel 2018 e al 10,2% nel 2019. Il principale mutamento
intervenuto rispetto al NADEF 2017 è una revisione al rialzo della crescita, rispettivamente
di 0,3 e 0,2 punti, in ragione del quadro internazionale più favorevole,
riflettendo anche gli orientamenti del Fondo Monetario Internazionale, che fra
ottobre 2017 e aprile 2018 ha rivisto al rialzo in misura analoga la crescita
reale dell’economia italiana.
Prima di fornire elementi di valutazione di questo
quadro previsionale, mi limito ad osservare che incrociandolo con le previsioni
demografiche dell’ISTAT si ricava che data questa crescita, nel 2021 il Pil pro
capite degli italiani sarà pari a circa 27.700 euro ai prezzi del 2010, ancora
al disotto del massimo antecedente alla crisi, raggiunto nel 2007 con 28.699
euro, e prossimo al valore del 2003, pari a 27.684 euro (fonte AMECO).
Il quadro previsionale è stato valutato dall’Ufficio
Parlamentare di Bilancio in conformità al regolamento EU 473/2013 (cosiddetto Two pack), che lo ha validato rilevando
tuttavia nell’audizione del 9 maggio scorso come le previsioni del Governo
siano “in prossimità” o “marginalmente superiori” al limite massimo delle
previsioni fornite dai valutatori indipendenti (Fig. 1.2 dell’audizione). Diversi
osservatori, fra cui Confindustria, nella sua audizione del 15 maggio scorso,
hanno segnalato il rischio di sovrastima della crescita, legato in particolare
al fatto che il quadro previsionale non sconta l’effetto recessivo determinato
dall’attivazione delle c.d. “clausole di salvaguardia” (delle quali si dirà più
avanti). Preme sottolineare a questo riguardo che rispetto al momento in cui le
previsioni sono state formulate sono emerse fragilità nella crescita tedesca
(l’Ufficio Federale di Statistica ha dato conto di un rallentamento di 0,3
punti nella crescita dell’ultimo trimestre 2017 in ragione di un “rallentamento
del commercio mondiale”), e il Centro Europa Ricerche (CER), uno dei valutatori
indipendenti, nella sua nota di aggiornamento del 14 maggio scorso evidenzia un
rallentamento della crescita del secondo trimestre 2018 rispetto allo stesso
periodo del 2017.
Va dato atto al governo di aver fatto una analisi di
sensitività rispetto ai principali fattori
di rischio connessi alle tensioni geopolitiche, commerciali e finanziarie
presenti a livello globale, tensioni alle quali si è aggiunta la decisione
relativa agli accordi sul nucleare iraniano, suscettibili di effetti
sull'attività delle nostre aziende operanti in quel paese.
Un primo gruppo di rischi attiene alla stabilità
finanziaria: questa potrebbe venire interessata negativamente dall’attuale
situazione di elevati corsi azionari, bassi e poco differenziati rendimenti
obbligazionari, ridotta volatilità, cui
si è abituata la gestione degli investitori, ed elevati livelli di
indebitamento pubblico e soprattutto privato di alcuni paesi emergenti. A ciò
deve aggiungersi il possibile fattore di rischio connesso ad un eventuale
inasprimento delle condizioni dei mercati finanziari connesso alla prossima
fine del Quantitative easing. Si segnala, tra le altre, la dichiarazione di
Villeroy (Banca di Francia e board BCE) che ha dichiarato: “il QE si sta
avvicinando alla conclusione, se sia a settembre o dicembre non fa alcuna
differenza”.
Un secondo fattore di rischio attiene alle possibili
evoluzioni delle misure protezionistiche avviate dagli Stati Uniti, cui il Def
dedica un apposito focus, articolato secondo due differenti scenari, più
intenso il primo e più moderato il secondo.
Si osserva tuttavia che non viene fatta un’analisi di
sensitività del quadro previsionale rispetto a due variabili cruciali: il
cambio euro/dollaro, che potrebbe rivelarsi più alto del previsto in ragione
fra l’altro dell’elevatissimo surplus dell’Eurozona (principalmente ascrivibile
all’economia tedesca), mal tollerato dagli Stati Uniti, e il prezzo del
petrolio, per il quale valgono considerazioni analoghe.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, il quadro tendenziale prevede una riduzione
del deficit all’1,6% del PIL nel 2018 e allo 0,8% nel 2019, con l’avanzo
primario in crescita rispettivamente all’1,9% e al 2,7%. Il debito pubblico è
previsto scendere al 130,8% del PIL nell’anno in corso e al 128% l’anno
prossimo.
La principale modifica intervenuta rispetto al quadro
proposto dal NADEF2017 riguarda la contabilizzazione
degli interventi a favore del sistema bancario.
A tale proposito ricordo che con la Relazione al
Parlamento presentata alle Camere in data 19 dicembre 2016, ai sensi
dell’articolo 6 della legge n. 243 del 2012, il Governo chiese l’autorizzazione
ad emettere titoli di debito pubblico fino ad un massimo pari a 20 miliardi di
euro per l’anno 2017, per l’eventuale adozione di tali provvedimenti. La Nota
di aggiornamento al DEF 2017 precisava che, trattandosi di partite finanziarie,
si era ipotizzato un impatto nullo sull’indebitamento netto delle
Amministrazioni pubbliche.
Giova ricordare che la Verifica delle quantificazioni
n. 555 realizzata dal Servizio del bilancio della Camera in data 6 luglio 2017 aveva
evidenziato l’esigenza di ulteriori indagini. L’Istat, nella Comunicazione
diffusa il 4 aprile 2018, ha in effetti rettificato le considerazioni espresse
nel NADEF2017 dando conto di alcune revisioni dei dati relativi
all’indebitamento netto e al debito per il 2017, dovute in larga parte
all’inclusione nelle stime riferite a tali indicatori degli effetti delle
operazioni riguardanti le banche in difficoltà. Tali revisioni sono per lo più
ascrivibili alla decisione assunta da Eurostat nel parere pubblicato il 3
aprile 2018, che ha fornito indicazioni metodologiche circa il corretto
trattamento contabile delle operazioni relative alle banche venete, attribuendo
alle stesse un impatto, non solo ai fini del fabbisogno, ma anche
dell’indebitamento netto (a differenza quindi di quanto previsto dalla Nadef
2017).
Dai dati forniti risulta che le operazioni relative
alle banche in difficoltà hanno determinato nel 2017 effetti anche
sull’indebitamento netto per circa 6,3 miliardi, di cui circa 1,6 miliardi
derivanti dalle operazioni relative a Monte Paschi di Siena e circa 4,8
miliardi ascrivibili alle operazioni sulle banche venete. La decisione Eurostat
ha modificato anche l’impatto sul debito delle operazioni riferite alle banche
venete.
Tenendo conto di queste modifiche, si prospetta comunque
una riduzione progressiva del deficit tendenziale sia in valore assoluto sia in
percentuale del PIL, raggiungendo un sostanziale pareggio nel 2020 ed un lieve
avanzo nell’ultimo anno di previsione. Il miglioramento deriva sostanzialmente
dall’incremento dell’avanzo primario, che dovrebbe via via salire sino ad
arrivare al 3,7 per cento del PIL nel 2021. La spesa per interessi è prevista
ridursi dal 3,8 per cento del PIL registrato nel 2017 al 3,5 per cento nel 2018
e poi stabilizzarsi.
Tuttavia, anche in conseguenza delle vicende relative
alle banche in difficoltà, la cosiddetta
“regola del debito” non appare rispettata in base a nessuno dei tre noti
criteri previsti dalla normativa UE.
Quanto al miglioramento dell’avanzo primario, questo
sconta soprattutto una riduzione dell’incidenza sul PIL delle uscite primarie,
in particolare di quelle di natura corrente, data anche la natura a
legislazione vigente della previsione. A questo proposito, sta destando un
certo allarme nell’opinione pubblica il dato evidenziato dalla Tabella 2.2
delle “Analisi e tendenze di finanza pubblica”, secondo cui dal 2019 la spesa
sanitaria scenderebbe sotto il livello minimo consigliato dall’OCSE, pari al
6,5% del Pil, dato evidenziato anche dal rappresentante della Conferenza delle
Regioni e delle Province autonome nell’audizione del 15 maggio scorso. Notiamo,
incidentalmente, come la stessa audizione abbia evidenziato che il contributo
al risanamento del debito delle amministrazioni pubbliche stia avvenendo largamente
per opera delle amministrazioni locali, causando alcune difficoltà
nell’assicurare i servizi ai cittadini che ad esse competono.
Inoltre, il quadro economico-finanziario prospettato
nel DEF, non avendo natura programmatica, contempla l’aumento delle imposte
indirette nel 2019 e, in minor misura, nel 2020, previsto dalle clausole di
salvaguardia in vigore. Come già avvenuto negli anni scorsi, tale aumento potrà
essere sostituito da misure alternative con futuri interventi legislativi che
potranno essere valutati dal prossimo Governo.
Il DEF aggiorna altresì le previsioni tendenziali
relative al saldo strutturale, che è
previsto migliorare progressivamente passando da una stima di -1,1 per cento
nel 2017 a un lieve avanzo nel 2020 (+0,1), che si mantiene anche nel 2021. Su
questo punto va segnalato che la Commissione europea stima un saldo strutturale
peggiore rispetto al DEF di -0,6 punti di PIL nel 2017, -0,7 punti nel 2018 e
-1,6 punti nel 2019. In tutti e tre gli anni incide una diversa valutazione
della componente ciclica del bilancio che, secondo la Commissione, è inferiore
di 0,6 punti annui rispetto a quanto stimato dal DEF, una divergenza che
discende in larga misura dalle diverse metodologie seguite da Governo e
Commissione per stimare l’output gap. Pur conservando riserve di ordine
scientifico su questo criterio, il relatore dà atto al Governo di aver proposto
ed in parte applicato una riforma della metodologia di calcolo meno penalizzante
per il nostro paese. Per approfondimenti su questo tema si rinvia al quarto
paragrafo della relazione sui “Fattori
rilevanti per lo sviluppo del debito pubblico italiano”, redatta ex art. 126
TFUE e pubblicata dal MEF in questo
mese.
Sul 2018 pesa inoltre una previsione marginalmente più
pessimistica della Commissione in merito al saldo complessivo di bilancio (la
Commissione lo stima a -1,7 punti di PIL, mentre il Governo lo prevede a -1,6
punti), che si riflette anche sulla sua componente strutturale. Sul 2019 incide
poi la diversa ipotesi sulle clausole di salvaguardia (cui corrisponde un
effetto migliorativo sul saldo di 0,7 punti di PIL incluso nelle previsioni del
DEF) che nello scenario della Commissione vengono disattivate senza compensazione,
e un approccio più cautelativo della Commissione su altre poste di bilancio che
fa sì che l’indebitamento netto risulti complessivamente più elevato rispetto
alle stime del DEF di circa 1 punto di PIL.
Si rammenta che già lo scorso
anno la Commissione europea aveva rilevato che "le condizioni macroeconomiche, sebbene ancora sfavorevoli, principalmente a
causa della bassa inflazione, dovrebbero risultare migliorate a partire dal
2016 e non possono più essere considerate come una circostanza attenuante per
spiegare il mancato risanamento di bilancio da parte dell'Italia e il forte
divario previsto rispetto alla regola del debito (nella configurazione
prospettica) per i prossimi anni."
La terza Sezione
del DEF 2018 reca il Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in stretta
relazione con quanto previsto nel Programma di Stabilità, definisce gli
interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di
crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delle finanze pubbliche, in
coerenza con gli indirizzi formulati dalle istituzioni europee nell’ambito del
semestre Europeo. In tale ambito sono indicati lo scenario macroeconomico e i
prevedibili effetti delle riforme, l'azione del Governo e lo stato di
avanzamento delle riforme avviate, in relazione alle raccomandazioni formulate
dal Consiglio UE ed infine il quadro degli interventi ricompresi nelle azioni
di policy per le politiche di coesione. Sono altresì riportati l’impatto
finanziario delle misure del programma nazionale di riforma, con riferimento a
quanto dettagliato nelle griglie ad esso allegate.
Nel PNR merita a nostro avviso particolare attenzione il
paragrafo II.3 che analizza il tema della riduzione dei crediti deteriorati nel
sistema bancario. Si rileva positivamente una fisiologica ripresa dello smaltimento,
associata alla generale ripresa della crescita economica. Riteniamo però che si
debba esercitare attenzione nel non impartire un eccessivo impulso a questo
processo, in particolare valutando eventuali inviti in tal senso che dovessero
giungere da organismi europei. Va evitato che uno smaltimento accelerato delle
garanzie immobiliari, in uno scenario di crescita che comunque presenta rischi
di rallentamento, metta in ulteriore difficoltà l’economia, con criticità
rilevate anche dall’ANCE nella sua audizione del 15 maggio 2018.
Oltre ad una indicazione (parte IV) sulle
interlocuzioni istituzionali con regioni e province autonome nella preparazione
del PNR, completa la Sezione una ultima parte in cui si dà conto dei progressi
conseguiti nell’ambito della Strategia Europa.
Dopo l’esercizio sperimentale dello scorso anno, il
DEF 2018 è corredato dagli “Indicatori
di benessere equo e sostenibile”: si tratta di 12 indicatori di diverse
aree che caratterizzano la qualità della vita dei cittadini relative a
disuguaglianza, istruzione, salute, ambiente, sicurezza, etc. In esito alla
sperimentazione relativa a 4 indicatori, a partire dal 2018 l’Italia è il primo
paese dell’Unione europea e dei G7 a dotarsi di un set di indicatori di
benessere in base ai quali misurare l’impatto delle politiche pubbliche,
abitualmente valutato su pochi indicatori macroeconomici e di finanza pubblica,
in primis il PIL. Mi preme rilevare in questo senso che il Senato, attraverso
il suo Ufficio Valutazione Impatto (UVI), propone interessanti
approfondimenti metodologici ed estensioni delle analisi proposte dal DEF.
Per ogni approfondimento di dettaglio, si fa rinvio
alla documentazione predisposta dai servizi studi e bilancio delle Camere.
La discussione
La trovate nel resoconto sommario, che potete navigare col menù di sinistra (il mio intervento è in "Affari assegnati"). Immagino la delusione dei tanti giornalisti che mi hanno chiesto il documento: magari si aspettavano di trovarci chissà quale misura (Weimar, le carriole, le cavallette, ecc.)! Immagino i titoloni... Mi dispiace per loro, ma non funziona così. Gli effetti speciali vanno bene al cinema. Questa è una partita a scacchi, ed è appena iniziata. Suppongo che qualcuno si annoierà (io mi diverto) e qualcuno non ci capirà niente (mi ci metto anch'io). Pazienza. E ora vi lascio, devo prepararmi per l'incontro di stasera a Olbia. Non so nemmeno dirvi quando sarà la prossima mossa, perché non mi sono ancora arrivate le convocazioni per la prossima settimana, né in quale veste la giocherò. A ogni giorno basta la sua pena.(...vedere le cose dall'interno non ha prezzo: di questo vi sarò eternamente grato. Per il resto ci sono gli arditi: quelli che col pugnale fra i denti vogliono muovere l'assalto al grido di "procomberò sol io!" A tanto ardore egotico foscoliano (scusa, Giacomo), preferisco il lavoro di squadra. Non ve lo sareste mai immaginato, vero!?...)
mercoledì 16 maggio 2018
I am a barbarian...
...precisely the one who plays harpsichord in this (and some others) recording:
(...if you find this music boring, you may have a look at this...)
(...if you find this music boring, you may have a look at this...)
venerdì 11 maggio 2018
La libertà non è gratis, e nemmeno la politica
Prima di immergermi nella lettura del DEF, del quale dovrei essere relatore in Commissione Speciale (povero Serendippo, abbracciatelo fortissimo!), vorrei ricordare una cosa a tutti quelli cui questo blog ha insegnato a leggere la realtà con occhi diversi, a unire i puntini in un quadro coerente.
Se oggi potete ascoltare queste parole, o queste parole, cioè se potete sentirvi rappresentati nelle nostre istituzioni, se potete sperare che alle parole seguano i fatti, se avete una ragionevole e fondata speranza che il nostro paese riprenda coscienza della propria dignità, e che nelle istituzioni si torni a ragionare in termini di interesse nazionale e non di pensiero magico, se questo è accaduto, lo dovete certo alla tenacia di Claudio e mia, alla nostra volontà di combattere per il nostro paese, per il nostro (cioè anche vostro) interesse: questa, naturalmente, era una condizione necessaria.
Tuttavia, non sarebbe stata sufficiente.
Affinché queste idee buone, per quanto non particolarmente originali, anzi, direi: buone proprio perché non particolarmente originali, al limite del tautologico (un accordo monetario insostenibile è insostenibile, regole fiscali procicliche sono procicliche), affinché queste idee, dicevo, potessero trasformarsi in prassi politica, potessero giungere nel Palazzo, un altro snodo è stato indispensabile. Il vero punto di svolta è stato l'ascolto che Matteo Salvini ha dato al nostro messaggio. Quello che vi permette oggi di vedervi rappresentati in Senato e alla Camera è stata l'umiltà intellettuale e l'apertura di spirito con cui Salvini ha accettato, a differenza di tutti (cioè tutti) gli altri politici italiani, di confrontarsi con una visione del mondo alternativa. Aggiungo che anche questo non sarebbe bastato. Se siamo arrivati dove per anni avete auspicato che noi arrivassimo è perché c'è una struttura, un partito, fatto di centinaia, migliaia di militanti, che da decenni lavorano in territori non sempre propizi, per creare quella rete territoriale che è, in democrazia, elemento imprescindibile per un reale esercizio della democrazia partitica. Queste persone, a loro volta, hanno avuto il buon senso e il coraggio di accogliere l'invito del loro leader a un profondo cambiamento di prospettiva.
Inutile che vi dica l'ovvio: di questo partito io non ho condiviso la storia, e in passato ho spesso avversato le posizioni. Basta leggersi il mio primo articolo esplicitamente politico, quello del 2011, dove definivo la Lega una "destra becera e nazionalista", aderendo totalmente al cliché che i media, dei quali pure sapevo la natura intrinsecamente truffaldina, mi proponevano. A mia discolpa posso dire che quella Lega era ancora la Lega Nord, animata da tensioni secessioniste, la Lega che aveva in Italia l'atteggiamento che la Germania ha in Europa: noi siamo migliori e gli altri si fottano. Questo atteggiamento è cambiato, e Matteo Salvini ha chiesto scusa al resto del paese, aprendo una nuova stagione. Capisco le diffidenze, capisco le ferite difficili da rimarginare, non voglio giudicare. Quella Lega, però, pur con i suoi limiti (se ha deciso di cambiare, significa che percepiva come un limite essere un partito regionale), stava costruendo la struttura che ha poi permesso a Claudio e a me di fare azione politica. Da allora ho anche studiato molto, deponendo la saccenza dell'intellettuale di sinistra che sa di sapere, capendo che le nazioni non sono così male se consideri l'alternativa, e che il progressismo non è una buona idea se davanti a te c'è un baratro. Ma al di là dell'evoluzione del mio pensiero, che è avvenuta qui, con voi, cui tutti voi avete assistito e partecipato, resta un fatto: quelle persone che giudicavo in modo sprezzante stavano lavorando per me, anche se io non lo sapevo, e nessuno poteva saperlo.
Allora: io sono un soldato, e se ho scelto di mettermi sotto una bandiera non è per fare distinguo, ma per combattere. Esattamente come "right or wrong, this is my country", "right or wrong this is my party", e mi dispiace molto per gli altri che si sono privati di questa risorsa, e, in alcuni casi, si sono scelti questo nemico. Quindi, anche ieri, quando sono uscito da Montecitorio per andare a parlare con i risparmiatori delle banche venete espropriati nei modi che sapete, e che mi rimproveravano anche quello che la Lega avrebbe o non avrebbe fatto (come me lo hanno rimproverato i lavoratori dell'Alitalia, come me lo rimprovera ogni tanto chi incontro, inclusi i giornalisti della stampa estera), la mia risposta non è stata: "Io non c'ero". La mia risposta è stata: "Sono qui". Il mio modo per chiedere scusa ai miei nuovi compagni del giudizio affrettato col quale li liquidai sette anni fa è andare incontro alla gente senza prendere le distanze, ma anzi rivendicando e difendendo anche una storia che non mi appartiene, che in larga parte devo ancora studiare, ma della quale, con la mia scelta, ho evidentemente deciso di condividere luci e ombre.
Io lo chiamo onore, voi fate un po' come vi pare, ma se lo spettacolo vi piace ricordatevi di una cosa: non è gratis. I manifesti costano, le sale per le riunioni costano, gli uffici stampa costano, le trasferte per le manifestazioni nazionali costano, ecc. Eppure, per coprire tutti questi costi, potete fare una cosa che non vi costa nulla: dare il 2x1000 alla Lega.
Le istruzioni per dare il 2x1000 alla Lega sono qui.
E naturalmente, siccome se a/simmetrie non ci fosse stata, né io né Claudio avremmo mai potuto creare occasioni di incontro con tutti i politici italiani, né, quindi, essere chiamati in squadra dall'unico che ci ha ascoltato, vi chiedo anche di continuare a sostenere questo progetto culturale unico, che ha saputo coniugare la ricerca in campo economico con quella nel campo della comunicazione.
Le istruzioni per dare il 5x1000 ad a/simmetrie sono qui.
E l'8x1000? Bè, lì fate un po' come vi pare! Presto, nel riquadro delle religioni, troverete anche l'euro: mi sentirei di sconsigliarvi di aderire al pensiero magico blasfemo di chi pensa, da essere umano, di aver creato qualcosa di irreversibile (poverini, hanno letto il Mas Colell, ma non la Genesi...). Quanto a me, io sto con S. Caterina: "La vita è un ponte: attraversalo, ma non porvi la tua dimora". Quindi, ora, vi lascio: oggi il ponte mi porta a Salsomaggiore, e domani a Pisa, e lunedì a Atessa, e martedì in Commissione Speciale. Non so cosa ci sia dall'altra parte del ponte, ma non ho fretta di saperlo. Intanto, sotto, vedo che il fiume si ingrossa...
(...apro e chiudo una parentesi per ricordarvi che i giornalisti stanno parlando del nulla. Massimo rispetto, per carità! I giornali devono uscire ogni giorno, e se non c'è nulla, occorrerà riempirli di nulla! Non chiedo a tutti di avere l'intelligenza di capirlo, e regolarsi di conseguenza. Mi permetto solo di fare una raccomandazione: quanto più si innalza il livello delle provocazioni, tanto più deve abbassarsi l'attenzione che prestiamo loro. Non guardate, e passate...)
Se oggi potete ascoltare queste parole, o queste parole, cioè se potete sentirvi rappresentati nelle nostre istituzioni, se potete sperare che alle parole seguano i fatti, se avete una ragionevole e fondata speranza che il nostro paese riprenda coscienza della propria dignità, e che nelle istituzioni si torni a ragionare in termini di interesse nazionale e non di pensiero magico, se questo è accaduto, lo dovete certo alla tenacia di Claudio e mia, alla nostra volontà di combattere per il nostro paese, per il nostro (cioè anche vostro) interesse: questa, naturalmente, era una condizione necessaria.
Tuttavia, non sarebbe stata sufficiente.
Affinché queste idee buone, per quanto non particolarmente originali, anzi, direi: buone proprio perché non particolarmente originali, al limite del tautologico (un accordo monetario insostenibile è insostenibile, regole fiscali procicliche sono procicliche), affinché queste idee, dicevo, potessero trasformarsi in prassi politica, potessero giungere nel Palazzo, un altro snodo è stato indispensabile. Il vero punto di svolta è stato l'ascolto che Matteo Salvini ha dato al nostro messaggio. Quello che vi permette oggi di vedervi rappresentati in Senato e alla Camera è stata l'umiltà intellettuale e l'apertura di spirito con cui Salvini ha accettato, a differenza di tutti (cioè tutti) gli altri politici italiani, di confrontarsi con una visione del mondo alternativa. Aggiungo che anche questo non sarebbe bastato. Se siamo arrivati dove per anni avete auspicato che noi arrivassimo è perché c'è una struttura, un partito, fatto di centinaia, migliaia di militanti, che da decenni lavorano in territori non sempre propizi, per creare quella rete territoriale che è, in democrazia, elemento imprescindibile per un reale esercizio della democrazia partitica. Queste persone, a loro volta, hanno avuto il buon senso e il coraggio di accogliere l'invito del loro leader a un profondo cambiamento di prospettiva.
Inutile che vi dica l'ovvio: di questo partito io non ho condiviso la storia, e in passato ho spesso avversato le posizioni. Basta leggersi il mio primo articolo esplicitamente politico, quello del 2011, dove definivo la Lega una "destra becera e nazionalista", aderendo totalmente al cliché che i media, dei quali pure sapevo la natura intrinsecamente truffaldina, mi proponevano. A mia discolpa posso dire che quella Lega era ancora la Lega Nord, animata da tensioni secessioniste, la Lega che aveva in Italia l'atteggiamento che la Germania ha in Europa: noi siamo migliori e gli altri si fottano. Questo atteggiamento è cambiato, e Matteo Salvini ha chiesto scusa al resto del paese, aprendo una nuova stagione. Capisco le diffidenze, capisco le ferite difficili da rimarginare, non voglio giudicare. Quella Lega, però, pur con i suoi limiti (se ha deciso di cambiare, significa che percepiva come un limite essere un partito regionale), stava costruendo la struttura che ha poi permesso a Claudio e a me di fare azione politica. Da allora ho anche studiato molto, deponendo la saccenza dell'intellettuale di sinistra che sa di sapere, capendo che le nazioni non sono così male se consideri l'alternativa, e che il progressismo non è una buona idea se davanti a te c'è un baratro. Ma al di là dell'evoluzione del mio pensiero, che è avvenuta qui, con voi, cui tutti voi avete assistito e partecipato, resta un fatto: quelle persone che giudicavo in modo sprezzante stavano lavorando per me, anche se io non lo sapevo, e nessuno poteva saperlo.
Allora: io sono un soldato, e se ho scelto di mettermi sotto una bandiera non è per fare distinguo, ma per combattere. Esattamente come "right or wrong, this is my country", "right or wrong this is my party", e mi dispiace molto per gli altri che si sono privati di questa risorsa, e, in alcuni casi, si sono scelti questo nemico. Quindi, anche ieri, quando sono uscito da Montecitorio per andare a parlare con i risparmiatori delle banche venete espropriati nei modi che sapete, e che mi rimproveravano anche quello che la Lega avrebbe o non avrebbe fatto (come me lo hanno rimproverato i lavoratori dell'Alitalia, come me lo rimprovera ogni tanto chi incontro, inclusi i giornalisti della stampa estera), la mia risposta non è stata: "Io non c'ero". La mia risposta è stata: "Sono qui". Il mio modo per chiedere scusa ai miei nuovi compagni del giudizio affrettato col quale li liquidai sette anni fa è andare incontro alla gente senza prendere le distanze, ma anzi rivendicando e difendendo anche una storia che non mi appartiene, che in larga parte devo ancora studiare, ma della quale, con la mia scelta, ho evidentemente deciso di condividere luci e ombre.
Io lo chiamo onore, voi fate un po' come vi pare, ma se lo spettacolo vi piace ricordatevi di una cosa: non è gratis. I manifesti costano, le sale per le riunioni costano, gli uffici stampa costano, le trasferte per le manifestazioni nazionali costano, ecc. Eppure, per coprire tutti questi costi, potete fare una cosa che non vi costa nulla: dare il 2x1000 alla Lega.
Le istruzioni per dare il 2x1000 alla Lega sono qui.
E naturalmente, siccome se a/simmetrie non ci fosse stata, né io né Claudio avremmo mai potuto creare occasioni di incontro con tutti i politici italiani, né, quindi, essere chiamati in squadra dall'unico che ci ha ascoltato, vi chiedo anche di continuare a sostenere questo progetto culturale unico, che ha saputo coniugare la ricerca in campo economico con quella nel campo della comunicazione.
Le istruzioni per dare il 5x1000 ad a/simmetrie sono qui.
E l'8x1000? Bè, lì fate un po' come vi pare! Presto, nel riquadro delle religioni, troverete anche l'euro: mi sentirei di sconsigliarvi di aderire al pensiero magico blasfemo di chi pensa, da essere umano, di aver creato qualcosa di irreversibile (poverini, hanno letto il Mas Colell, ma non la Genesi...). Quanto a me, io sto con S. Caterina: "La vita è un ponte: attraversalo, ma non porvi la tua dimora". Quindi, ora, vi lascio: oggi il ponte mi porta a Salsomaggiore, e domani a Pisa, e lunedì a Atessa, e martedì in Commissione Speciale. Non so cosa ci sia dall'altra parte del ponte, ma non ho fretta di saperlo. Intanto, sotto, vedo che il fiume si ingrossa...
(...apro e chiudo una parentesi per ricordarvi che i giornalisti stanno parlando del nulla. Massimo rispetto, per carità! I giornali devono uscire ogni giorno, e se non c'è nulla, occorrerà riempirli di nulla! Non chiedo a tutti di avere l'intelligenza di capirlo, e regolarsi di conseguenza. Mi permetto solo di fare una raccomandazione: quanto più si innalza il livello delle provocazioni, tanto più deve abbassarsi l'attenzione che prestiamo loro. Non guardate, e passate...)